Tradizioni e sapori

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La rapida trasformazione sociale avvenuta nel corso del XX° secolo, connessa al passaggio dal mondo agricolo a quello industriale prima e a quello postindustriale poi, ha portato anche a Meda, come altrove, alla progressiva scomparsa di stili di vita legati a una società rurale che non c’è più e di abitudini e tradizioni un tempo consolidate. È quindi quanto mai difficile ritrovare i segni di un folclore scomparso o le tracce della quotidianità di una volta. Qualcosa tuttavia permane, o si rinnova, acquisendo magari significati nuovi e diversi, non più legati a credenze o auspici ma non per questo meno importanti.

Tuttora viva è ad esempio la tradizione del Presepe, rinnovata di anno in anno nelle case come nelle chiese, negli esercizi e nei negozi come nei quattro Rioni del centro storico. Non si tratta della semplice adesione a quella che è una consuetudine molto viva in Brianza e in altre aree della Lombardia o del Paese, perché qui ci si basa anche sul sapiente uso dei materiali, e del legno in particolare, che caratterizza tutta la città, unito a un’attitudine particolare alla raffigurazione. Grande cura viene messa nella progettazione e nella realizzazione dei presepi destinati anche a un pubblico di visitatori. Ci si può trovare a Meda nel periodo delle feste natalizie o venirci apposta: si possono allora visitare i presepi delle chiese e soprattutto quelli dei quattro Rioni – Belgora, Fameta, Bregoglio e San Giuan – che da molto tempo oramai propongono ogni anno nuove rappresentazioni del tema.

Viva è ancora la tradizione dei falò di Sant’Antonio, che illuminano la fredda sera di ogni 17 gennaio, giorno che la liturgia dei Santi riserva a Sant’Antonio Abate, invocato, fra l’altro e in particolare, contro gli incendi. Vengono organizzati in questa occasione sia modesti falò, allestiti nei prati e nei giardini vicino casa, che falò più imponenti: attorno a tutti quanti si fa festa con vin brulé e quant’altro può servire a scaldarsi. Si anticipa così in qualche modo, legando all’impronta religiosa l’evento, il rito propiziatorio che in altri centri vicini collega il fuoco al più pagano “Rogo della Giubiana” che si svolge l’ultimo giovedì di gennaio: lo stesso tentativo comunque di esorcizzare e cercare di cacciare via i rigori dell’inverno padano.

Altro riferimento religioso per trarre buoni auspici per i mesi che verranno è quello legato all’usanza, prettamente locale, di incendiare il 20 gennaio nella Chiesa vecchia di Santa Maria, in occasione della festa di San Sebastiano (santo associato nei secoli più antichi nella titolarità della chiesa) una sorta di “pallone” e di trarne buoni o cattivi auspici dal modo in cui brucia.

Per quanto riguarda le usanze alimentari, questa non è certo terra di grandi tradizioni legate all’agricoltura e all’allevamento, soprattutto a causa della natura dei suoli e del conseguente precoce indirizzarsi della sua popolazione verso l’artigianato e l’industria. Diversamente da quanto accade in molte altre parti del Paese o della stessa Lombardia, dove si possono promuovere ricchi panieri di prodotti tipici e dove nascono come funghi sagre dedicate a qualsivoglia piatto tradizionale o alimento particolare, a Meda bisognerebbe fare uno sforzo di fantasia per immaginare attrattive turistiche in quest’ambito che pure oramai va per la maggiore. Assente oltremodo ogni produzione vinicola, un tempo assai diffusa in Brianza e poi distrutta ovunque dalla fillossera che imperversò nella seconda metà dell’Ottocento – oggi però riproposta in Brianza, com’è noto, ma più che altro sulle colline di Montevecchia – sembrerebbe questa una terra senza cucina, anche se non mancano affollatissime e oramai più che decennali sagre di importazione. Ciò sta però forse proprio a dimostrare l’apprezzamento per altre abitudini, in un’epoca nella quale la cucina familiare di ogni giorno è ormai frutto della combinazione di sapori e preparazioni della più varia provenienza.

Nonostante quanto appena detto non manca invece anche qui – e come potrebbe in Italia? – una solida tradizione gastronomica, ancorché non particolarmente ricca. Si tratta di usanze ancor vive nonostante tutte le apparenze, di preparazioni simili peraltro al resto della cucina brianzola, fondata sul maiale e sul migliore utilizzo possibile dei tradizionali alimenti di sussistenza locali. Senza poter fare certo qui una rassegna approfondita di questa gastronomia, erede di un vecchio mondo rurale fatto di stenti e di fame che non c’è più, “povera” in molti sensi ma non più di tanti altri posti, se ne possono però fare almeno alcuni cenni.

Con un po’ di fortuna i piatti più importanti si possono apprezzare in alcuni ristoranti e trattorie che, almeno nella stagione giusta, propongono anche cucina tipica. Il maiale, da sempre vero re delle tavole dei poveri, domina anche la tavola medese con la tradizionale e conosciuta cazzoeula, ricca preparazione basata sulla lunga cottura di alcune parti del maiale (costine, salamitt de verz, zampetto, cotiche) e alleggerita – si fa per dire – dall’aggiunta di sedano, carote, cipolle e soprattutto dalle foglie di cavolo verza, meglio se raccolto durante i rigori invernali.

Molto consumate sono le preparazione fresche a base di carne di maiale macinata: salamelle e luganega in particolare, le prime preferibilmente grigliate e la seconda utilizzata in vario modo, per arricchire risotti ma anche in umido. Permane inoltre una significativa tradizione legata al salame brianzolo e ad altri salumi, cotti e crudi.

Altro piatto unico tipico è la busecca, trippa nel senso milanese, che la consuetudine vuole consumata in particolare la notte di Natale, mentre fra i primi della tradizione dominano minestre di verdure o di riso e minestroni variamente arricchiti e insaporiti con lardo pestato o cotiche. Non manca il più classico risotto giallo allo zafferano, nella versione brianzola, con vino rosso, o nella versione monzese, con luganega, o milanese, con midollo di bue, o anche saltato in padella.

Naturalmente a fianco di talune portate non può mancare la tradizionale polenta, servita semplice per accompagnare piatti saporiti o nelle più gustose varianti, vonscia, arricchita con aglio, burro e grana, o conscia, con l’aggiunta ulteriore di panna e cipolla. Polenta e latte e polenta accompagnata da varie pucce – salse e intingoli succulenti – sono abbinamenti tradizionali ancora frequenti in molte case medesi.

Fra le preparazioni dolci occupa un posto di rilievo la “torta paesana”, che nel Milanese e in Brianza si chiama in modo diverso ogni paese ma viene preparata ovunque per riutilizzare il pane raffermo, che ne è l’ingrediente principale, a cui si aggiungono latte, cacao, uova, pinoli, canditi, amaretti, cioccolato, ecc.